Batatinha (1924-1997) con lo scettro del samba
Florisvaldo Mattos

Ogni artista di samba è un essere con radici, indipendentemente da dove siano piantate. Lo spazio burocratico di un'occupazione professionale, la stessa luce della strada, il lirismo giocoso della vita bohémien, le amicizie e la loro ricchezza di frasi, versi, suoni e movimenti: tutto offre all'artista di samba l'opportunità di nascondersi o rivelarsi.
È stato il caso di Batatinha - Oscar da Penha secondo ll'anagrafe (1924-1997) - soprannome che ricevette nel fonte battesimale dell'emittente di Antônio Maria, per opera e grazia dell'acqua benedetta di un programma radiofonico, ai tempi della PRA-4, Rádio Sociedade da Bahia, negli anni '40. Non poteva essere annunciato come Vassourinha, il famoso sambista carioca di successo che lui imitava.
Allora, andiamo: "Signore e signori, ecco a voi Oscar da Penha, il sambista Oscar da Penha, Batatinha", Antônio Maria lo descrisse così, con stile esuberante, poiché era davvero una patata nel samba, secondo il gergo, perché con lui tutto funziona alla perfezione, come diceva un samba di Geraldo Pereira, un successo cantato da Jackson do Pandeiro, uno dei suoi paradigmi. E il nome rimase, rivelando l'inizio della carriera del cantante e soprattutto del compositore Batatinha.

Batatinha nella grafica del Diario Nacional
José Carlos Capinan lo definì un inventore e un maestro, accostandolo ad altri due monumenti del samba, Cartola e Nelson Cavaquinho. Ma c'era chi lo definiva esclusivamente per la potenza del lirismo della sua musica e per la posizione che l'età favorisce. "Una testa piena di capelli bianchi, ogni ciocca una nota musicale", riassunse Riachão, un fratello do samba e di canto, quando aveva già quasi cinquant'anni.

Batatinha e Dorival Caymmi. S.d.
Conobbi Batatinha quando era già ben sistemato con la professione di tipografo presso gli uffici dei Diários Associados, lì, nell'antica dimora al 157 di via Carlos Gomes, dove avevano sede i quotidiani Diário de Notícias, Estado da Bahia e la Rádio Sociedade da Bahia. Poco più che trentenne, con i capelli prematuramente brizzolati, l'andatura spavalda (ginga) di quel nero alto, eretto e dagli occhi luminosi, le sue dita agili, erano uno spettacolo da vedere, mentre lavorava come battipista per linotype, assemblando i cosiddetti "paquês", indirizzando la carta per prove di stampa e disponendola sul foglio, per il passaggio della pagina assemblata al "flan", da lì alla fonderia e infine alla rotativa Goss, ancora splendente come nuova e imponente nel magazzino posteriore, una meraviglia della stampa dell'epoca, dopo un'attenta occhiata del capo, che fosse il defunto Duquinha o il suo sostituto Valdélio.
Mai un malandro all’antica, non portava la sciarpetta al collo, né le infradito. Sigari e fumo incorniciavano i suoi lineamenti malinconici, nella calda atmosfera delle tipografie o durante le visite al mondo rumoroso della Redazione. Sapevo che cantava, ma conobbi il compositore di samba solo più tardi, quando già diceva di voler produrre un disco, quando i suoi samba echeggiavano nell'aria attraverso le voci di Jamelão, Maria Bethânia, Nora Ney, Tião Motorista, o persino di lui stesso, Batatinha, che aveva iniziato a cantare imitando Vassourinha del "Minha Palhoça", un samba di Wilson Batista.
Fu una rivelazione e una meraviglia. In mezzo a quella magia, oggi intravedo le origini e le affiliazioni del sambista e dell’inventore. Fa parte di un processo che, iniziato 50 anni prima, avrebbe dato spazio e autonomia alla musica popolare brasiliana, che stava già iniziando a fare la storia. E Bahia aveva molto (aveva solo) a che fare con tutto questo, con la sua natura e la sua evoluzione, fin dai tempi del Brasile coloniale, quando il genio aristofanesco di Gregório de Mattos (XVII secolo) vagava per le strade della Cidade da Bahia, a tracolla una viola a cinque corde da lui stesso costruita, cantando modinhas e conquistando mulatte.
Ma la parentela musicale di Batatinha – e, logicamente, quella di altri compositori baiani (Josué de Barros, Dorival Caymmi, Assis Valente, Humberto Porto, Bob Silva) – sembra iniziare con Xisto Bahia (1841-1894), un chitarrista nero, re del lundu, un mix di compositore e attore teatrale, che, sfidando i pregiudizi, si conquistò con la sua musica ammiratori tra l'élite e la classe media della società, dove riecheggiava la voce di quest'uomo che sarebbe passato alla storia come il più popolare cantante romantico e il responsabile dello sviluppo della modinha tra noi, piantando il seme di quella che sarebbe poi diventata la forma musicale del samba, radicata nelle radici della cultura africana. In questo percorso iniziale, non possiamo dimenticare gli eventi degli anni Novanta a Bahia, che portarono a Rio de Janeiro, la capitale federale, una parte significativa delle forme musicali praticate nella vecchia Cidade do Salvador e nei centri urbani e rurali della sua regione di Recôncavo.
In questo momento si verificò un fatto fondamentale: il massiccio trasferimento di contingenti di individui, provocato dall'esempio e dalle ripercussioni negative della tragica fine della Guerra di Canudos, nell'esecuzione di un piano che combinava gli sforzi federali e statali per destinare la manodopera a progetti che avrebbero assorbito ondate di sconfitti, con l'obiettivo di prevenire l'insorgenza di nuove sacche di ribellione nelle zone più remote dei sertões e offrire un orizzonte incoraggiante e affidabile a chi non aveva nulla.
Ondate di baiani sbarcarono a Rio de Janeiro per lavorare alla costruzione del porto, dando avvio alle grandi opere che avrebbero cambiato la fisionomia urbana della Capitale della Repubblica, sotto la guida di Pereira Passos e Paulo de Frontim. Spinti da questa contingenza, gruppi di baiani neri si stabilirono nei pressi dei cantieri; uno di questi luoghi sarebbe stato chiamato Morro da Favela, dal nome di un'altura e di uno dei bastioni della roccaforte di Antônio Conselheiro.
Fu così che venne fondata la prima favela di Rio de Janeiro e lì si trasferirono i simboli di una delle più prestigiose istituzioni di festa e misticismo: i terreiros, uno dei quali, il più famoso, era quello della baiana Tia Ciata, centro di batuque, che favoriva la musica dei neri, mescolando candomblé, roda-de-capoeira, samba-de-roda, folklore del mare e dei campi di canna da zucchero, culla del samba attraverso le mani, le voci e la ginga dei suoi discendenti, come Donga, João da Baiana, Caninha, Getúlio Marinho (Amor), tra molti altri neri, originari di Bahia o figli di baiani, la cui ispirazione e il cui lirismo influenzarono le future generazioni di sambisti, compositori e interpreti.
I sambisti baiani, come Batatinha e altri, si affiliano legittimamente a questo processo. Sebbene sembri esserci stata una pausa, che avrei poi evidenziato a Bahia durante i primi decenni del XX secolo, la musica ha continuato a persistere – e con essa il samba – favorita dapprima dai cambiamenti nella struttura urbana della Cidade do Salvador, conseguenti alla riforma del 1912, avviata e attuata da Seabra, e successivamente dalla nascita della Rádio Sociedade da Bahia nel 1927, una delle prime emittenti radiofoniche in Brasile.
La musica di questi artisti di samba è nata da una combinazione di fattori, che ha mescolato terreiros, feste di strada, circoli bohémiens, balli, cine-teatri e programmi di auditorium, in teatri e stazioni radio; tra queste ultime, la più chiacchierata è stata la "Parada de Calouros", creata, diretta e condotta dal pernambucano Antônio Maria, dagli anni della Seconda Guerra Mondiale quasi fino alla fine degli anni '40 (quando si trasferì a Rio), e poi i fruttuosi concorsi musicali, tra cui spiccano gli innovativi "Campeonatos de Carnaval". Da questo nucleo fertile è nata una schiera di compositori che avrebbe rivelato al pubblico, oltre a Batatinha, nomi come Armando Sá, Miguel Britto, Renato Mendonça, Jairo Simões, Tião Motorista e altri, quasi tutti artisti di samba. Ispirati o incoraggiati da loro, emerse una nuova ondata di compositori, tra cui Riachão, Edil Pacheco, Ederaldo Gentil, Gereba, Gerônimo, Vevé Calasans e una parte dei giovani del trio elétrico.
L'opera di Batatinha fa parte di questo scintillante paniere di grandezze, che ha incorporato, mantenuto e rinvigorito il buono della tradizione. La base è romantica e urbana, come gran parte della musica brasiliana, prodotta fino alla metà degli anni '60, quando la valanga del Tropicalismo avrebbe forgiato nuove direzioni, in una chiave di ispirazione e creatività, carica di sentimento, proiettandosi come un dispiegarsi di pratiche poetiche lontane, che trovarono rifugio nella creatività dei poeti popolari – e, soprattutto, di innumerevoli musicisti e cantanti provenienti dalle periferie di Rio de Janeiro e di altri centri, che si assunsero il compito di continuarla (Catulo da Paixão Cearense, Erastóstenes Campos, João Pernambuco, Olegário Mariano, Índio das Neves, Donga, Pixinguinha, Uriel Lourival, Freire Júnior, Vicente Celestino e tanti altri, tutti forgiati negli anni '10 e '20).

CD di Batatinha, lanciato nel 1998.
Prodotto dagli artisti J.Velloso e Paquito
È stato il caso di Batatinha - Oscar da Penha secondo ll'anagrafe (1924-1997) - soprannome che ricevette nel fonte battesimale dell'emittente di Antônio Maria, per opera e grazia dell'acqua benedetta di un programma radiofonico, ai tempi della PRA-4, Rádio Sociedade da Bahia, negli anni '40. Non poteva essere annunciato come Vassourinha, il famoso sambista carioca di successo che lui imitava.
Allora, andiamo: "Signore e signori, ecco a voi Oscar da Penha, il sambista Oscar da Penha, Batatinha", Antônio Maria lo descrisse così, con stile esuberante, poiché era davvero una patata nel samba, secondo il gergo, perché con lui tutto funziona alla perfezione, come diceva un samba di Geraldo Pereira, un successo cantato da Jackson do Pandeiro, uno dei suoi paradigmi. E il nome rimase, rivelando l'inizio della carriera del cantante e soprattutto del compositore Batatinha.

Batatinha nella grafica del Diario Nacional
José Carlos Capinan lo definì un inventore e un maestro, accostandolo ad altri due monumenti del samba, Cartola e Nelson Cavaquinho. Ma c'era chi lo definiva esclusivamente per la potenza del lirismo della sua musica e per la posizione che l'età favorisce. "Una testa piena di capelli bianchi, ogni ciocca una nota musicale", riassunse Riachão, un fratello do samba e di canto, quando aveva già quasi cinquant'anni.

Batatinha e Dorival Caymmi. S.d.
Conobbi Batatinha quando era già ben sistemato con la professione di tipografo presso gli uffici dei Diários Associados, lì, nell'antica dimora al 157 di via Carlos Gomes, dove avevano sede i quotidiani Diário de Notícias, Estado da Bahia e la Rádio Sociedade da Bahia. Poco più che trentenne, con i capelli prematuramente brizzolati, l'andatura spavalda (ginga) di quel nero alto, eretto e dagli occhi luminosi, le sue dita agili, erano uno spettacolo da vedere, mentre lavorava come battipista per linotype, assemblando i cosiddetti "paquês", indirizzando la carta per prove di stampa e disponendola sul foglio, per il passaggio della pagina assemblata al "flan", da lì alla fonderia e infine alla rotativa Goss, ancora splendente come nuova e imponente nel magazzino posteriore, una meraviglia della stampa dell'epoca, dopo un'attenta occhiata del capo, che fosse il defunto Duquinha o il suo sostituto Valdélio.
Mai un malandro all’antica, non portava la sciarpetta al collo, né le infradito. Sigari e fumo incorniciavano i suoi lineamenti malinconici, nella calda atmosfera delle tipografie o durante le visite al mondo rumoroso della Redazione. Sapevo che cantava, ma conobbi il compositore di samba solo più tardi, quando già diceva di voler produrre un disco, quando i suoi samba echeggiavano nell'aria attraverso le voci di Jamelão, Maria Bethânia, Nora Ney, Tião Motorista, o persino di lui stesso, Batatinha, che aveva iniziato a cantare imitando Vassourinha del "Minha Palhoça", un samba di Wilson Batista.
Fu una rivelazione e una meraviglia. In mezzo a quella magia, oggi intravedo le origini e le affiliazioni del sambista e dell’inventore. Fa parte di un processo che, iniziato 50 anni prima, avrebbe dato spazio e autonomia alla musica popolare brasiliana, che stava già iniziando a fare la storia. E Bahia aveva molto (aveva solo) a che fare con tutto questo, con la sua natura e la sua evoluzione, fin dai tempi del Brasile coloniale, quando il genio aristofanesco di Gregório de Mattos (XVII secolo) vagava per le strade della Cidade da Bahia, a tracolla una viola a cinque corde da lui stesso costruita, cantando modinhas e conquistando mulatte.
Ma la parentela musicale di Batatinha – e, logicamente, quella di altri compositori baiani (Josué de Barros, Dorival Caymmi, Assis Valente, Humberto Porto, Bob Silva) – sembra iniziare con Xisto Bahia (1841-1894), un chitarrista nero, re del lundu, un mix di compositore e attore teatrale, che, sfidando i pregiudizi, si conquistò con la sua musica ammiratori tra l'élite e la classe media della società, dove riecheggiava la voce di quest'uomo che sarebbe passato alla storia come il più popolare cantante romantico e il responsabile dello sviluppo della modinha tra noi, piantando il seme di quella che sarebbe poi diventata la forma musicale del samba, radicata nelle radici della cultura africana. In questo percorso iniziale, non possiamo dimenticare gli eventi degli anni Novanta a Bahia, che portarono a Rio de Janeiro, la capitale federale, una parte significativa delle forme musicali praticate nella vecchia Cidade do Salvador e nei centri urbani e rurali della sua regione di Recôncavo.
In questo momento si verificò un fatto fondamentale: il massiccio trasferimento di contingenti di individui, provocato dall'esempio e dalle ripercussioni negative della tragica fine della Guerra di Canudos, nell'esecuzione di un piano che combinava gli sforzi federali e statali per destinare la manodopera a progetti che avrebbero assorbito ondate di sconfitti, con l'obiettivo di prevenire l'insorgenza di nuove sacche di ribellione nelle zone più remote dei sertões e offrire un orizzonte incoraggiante e affidabile a chi non aveva nulla.
Ondate di baiani sbarcarono a Rio de Janeiro per lavorare alla costruzione del porto, dando avvio alle grandi opere che avrebbero cambiato la fisionomia urbana della Capitale della Repubblica, sotto la guida di Pereira Passos e Paulo de Frontim. Spinti da questa contingenza, gruppi di baiani neri si stabilirono nei pressi dei cantieri; uno di questi luoghi sarebbe stato chiamato Morro da Favela, dal nome di un'altura e di uno dei bastioni della roccaforte di Antônio Conselheiro.
Fu così che venne fondata la prima favela di Rio de Janeiro e lì si trasferirono i simboli di una delle più prestigiose istituzioni di festa e misticismo: i terreiros, uno dei quali, il più famoso, era quello della baiana Tia Ciata, centro di batuque, che favoriva la musica dei neri, mescolando candomblé, roda-de-capoeira, samba-de-roda, folklore del mare e dei campi di canna da zucchero, culla del samba attraverso le mani, le voci e la ginga dei suoi discendenti, come Donga, João da Baiana, Caninha, Getúlio Marinho (Amor), tra molti altri neri, originari di Bahia o figli di baiani, la cui ispirazione e il cui lirismo influenzarono le future generazioni di sambisti, compositori e interpreti.
I sambisti baiani, come Batatinha e altri, si affiliano legittimamente a questo processo. Sebbene sembri esserci stata una pausa, che avrei poi evidenziato a Bahia durante i primi decenni del XX secolo, la musica ha continuato a persistere – e con essa il samba – favorita dapprima dai cambiamenti nella struttura urbana della Cidade do Salvador, conseguenti alla riforma del 1912, avviata e attuata da Seabra, e successivamente dalla nascita della Rádio Sociedade da Bahia nel 1927, una delle prime emittenti radiofoniche in Brasile.
La musica di questi artisti di samba è nata da una combinazione di fattori, che ha mescolato terreiros, feste di strada, circoli bohémiens, balli, cine-teatri e programmi di auditorium, in teatri e stazioni radio; tra queste ultime, la più chiacchierata è stata la "Parada de Calouros", creata, diretta e condotta dal pernambucano Antônio Maria, dagli anni della Seconda Guerra Mondiale quasi fino alla fine degli anni '40 (quando si trasferì a Rio), e poi i fruttuosi concorsi musicali, tra cui spiccano gli innovativi "Campeonatos de Carnaval". Da questo nucleo fertile è nata una schiera di compositori che avrebbe rivelato al pubblico, oltre a Batatinha, nomi come Armando Sá, Miguel Britto, Renato Mendonça, Jairo Simões, Tião Motorista e altri, quasi tutti artisti di samba. Ispirati o incoraggiati da loro, emerse una nuova ondata di compositori, tra cui Riachão, Edil Pacheco, Ederaldo Gentil, Gereba, Gerônimo, Vevé Calasans e una parte dei giovani del trio elétrico.
L'opera di Batatinha fa parte di questo scintillante paniere di grandezze, che ha incorporato, mantenuto e rinvigorito il buono della tradizione. La base è romantica e urbana, come gran parte della musica brasiliana, prodotta fino alla metà degli anni '60, quando la valanga del Tropicalismo avrebbe forgiato nuove direzioni, in una chiave di ispirazione e creatività, carica di sentimento, proiettandosi come un dispiegarsi di pratiche poetiche lontane, che trovarono rifugio nella creatività dei poeti popolari – e, soprattutto, di innumerevoli musicisti e cantanti provenienti dalle periferie di Rio de Janeiro e di altri centri, che si assunsero il compito di continuarla (Catulo da Paixão Cearense, Erastóstenes Campos, João Pernambuco, Olegário Mariano, Índio das Neves, Donga, Pixinguinha, Uriel Lourival, Freire Júnior, Vicente Celestino e tanti altri, tutti forgiati negli anni '10 e '20).

CD di Batatinha, lanciato nel 1998.
Prodotto dagli artisti J.Velloso e Paquito
In un certo senso, cementarono uno stile, lo consolidarono, crearono forme e stabilirono standard. L'aspetto sentimentale sarebbe stato accompagnato da un tono malizioso, a tratti lacrimoso, ma una candida patina satirica, immersa in un fraseggio leggermente dispregiativo, intriso di ginga, slancio ritmico e linguaggio accessibile, avrebbe reso la canzone e il samba – e anche la marchinha di Carnevale – un mezzo per parlare direttamente ai cittadini, dialogando con le tribolazioni della vita quotidiana, diventando al tempo stesso una celebrazione della gioia di vivere e una denuncia delle contraddizioni sociali, punteggiate da dolore e malinconia.
Entrambe le sfaccettature, quella romantica e quella satirica, coesistono nella musica di Batatinha. La prima, in minor quantità, a partire dal samba “Marta”, cantato nella sua prima trasmissione al pubblico radiofonico dal gruppo Ases do Ritmo, composto da Tião Motorista, Sandoval Caldas, Virgílio Sá e Geraldo Nascimento, che già diceva: “Marta, vieni a vedere la luna / Vieni a vedere quanto è triste sempre / Lamentando il profondo dolore / Che esiste nel mio petto”, per culminare con uno dei suoi capolavori, il samba “Diplomacia” – “Lotto per un po’ di conforto / Il mio corpo è quasi morto / Non riesco nemmeno a pensare bene / Anche con così tanta agonia / Posso ancora cantare”. E nei versi di un altro capolavoro – “Se smetto di soffrire / Come sarà / Per abituarmi / (...) / Anche la sofferenza è un merito”... In questa linea, seguono altre composizioni, come “Direito de Sambar”, “Espera”, "Tempo per la ragione".
La satira, avvolta in un manto malinconico e conformista, è vertiginosa, da "Calma, Hélio" ("Calma, Hélio/ Non andare fino in fondo/ Potresti finire male/ La tua indennità/ Verrà consegnata dopo Carnevale"); o nel classico registrato da Jamelão, "Jajá da Gamboa", in cui il protagonista della storia, "Un giorno, avendo bisogno/ Di soldi da scommettere/ Sul Selezionato/ Non avendo altro da ottenere dalla creatura/ le chiese la sua dentiera/ Dicendo che il chiodo lo avrebbe salvato/ Fu questa volta che la signora non poté essere d'accordo/ Con Jajá".
Travestita o esplicita, la satira di questo popolare poeta assume lo status di cronaca. Tra queste, "Grande Rei" ("Sorrido in questo mondo, sono felice/ Non ho nemici/ Nessuno parla male di me/ Sono il samba/ Grande re di questo paese"), sulla linea del carioca Zé Kéti, o "Arrogância" ("Vedere il peccato negli altri/ La virtù solo dalla tua parte / Il mondo solo per te/ (...)/ Chi ride degli altri in quel momento/ Piange anche"). E ancora un altro classico, "Circo" ("Tutti vanno al circo/ Tranne me, tranne me/ Come posso pagare un biglietto/ Se non ho niente/ Resto fuori ad ascoltare le risate").
Questa cronaca in versi, con il suo tono romantico e le sue radici urbane, fa parte dello stile poetico che annovera Dorival Caymmi tra i maestri nazionali; include, tra gli altri, J. Cascata, Marino Pinto, Ataulfo Alves e il baiano Humberto Porto. Il tema in gran parte satirico può essere fatto risalire all'opera del grande Geraldo Pereira ("Falsa Baiana", "Escurinho", "Pisei num Despacho"), seguito da Noel Rosa ("Conversa de Botequim", "Rapaz Folgado", "Gago apaixonado"), Lamartine Babo (Mulato Bamba) e Moreira da Silva ("Na Subida do Morro", "Jogando com o Capeta", "Dormi no Molhado"). Si tratta infatti di compositori ed esecutori che acquisirono e consolidarono il loro prestigio negli anni '30 o '40, periodo dell'adolescenza di Batatinha, prima o in concomitanza con i suoi primi tentativi come cantante.
Siccome ho iniziato citando il popolare cantante-compositore Riachão, concludo con le parole di un altro baiano, poeta in chiave maggiore, ma anche compositore e paroliere, José Carlos Capinan, che così si è espresso, definendo l'opera dell'artista Batatinha: "I suoi ritmi sono movimenti che ha imparato interagendo con le forme del samba di strada, del samba de roda, così come con quelle delle canzoni che sembrano nascere dalla percezione del battito più tranquillo dell'universo". Insomma, forse un dio, e se non lo fosse ancora, metaforicamente un "grande re" che brandisce lo scettro del samba nel regno della musica popolare.
Traduzione dal portoghese di A.R.R.
© SARAPEGBE.
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
-------------------------------------------------------------------------------Entrambe le sfaccettature, quella romantica e quella satirica, coesistono nella musica di Batatinha. La prima, in minor quantità, a partire dal samba “Marta”, cantato nella sua prima trasmissione al pubblico radiofonico dal gruppo Ases do Ritmo, composto da Tião Motorista, Sandoval Caldas, Virgílio Sá e Geraldo Nascimento, che già diceva: “Marta, vieni a vedere la luna / Vieni a vedere quanto è triste sempre / Lamentando il profondo dolore / Che esiste nel mio petto”, per culminare con uno dei suoi capolavori, il samba “Diplomacia” – “Lotto per un po’ di conforto / Il mio corpo è quasi morto / Non riesco nemmeno a pensare bene / Anche con così tanta agonia / Posso ancora cantare”. E nei versi di un altro capolavoro – “Se smetto di soffrire / Come sarà / Per abituarmi / (...) / Anche la sofferenza è un merito”... In questa linea, seguono altre composizioni, come “Direito de Sambar”, “Espera”, "Tempo per la ragione".
La satira, avvolta in un manto malinconico e conformista, è vertiginosa, da "Calma, Hélio" ("Calma, Hélio/ Non andare fino in fondo/ Potresti finire male/ La tua indennità/ Verrà consegnata dopo Carnevale"); o nel classico registrato da Jamelão, "Jajá da Gamboa", in cui il protagonista della storia, "Un giorno, avendo bisogno/ Di soldi da scommettere/ Sul Selezionato/ Non avendo altro da ottenere dalla creatura/ le chiese la sua dentiera/ Dicendo che il chiodo lo avrebbe salvato/ Fu questa volta che la signora non poté essere d'accordo/ Con Jajá".
Travestita o esplicita, la satira di questo popolare poeta assume lo status di cronaca. Tra queste, "Grande Rei" ("Sorrido in questo mondo, sono felice/ Non ho nemici/ Nessuno parla male di me/ Sono il samba/ Grande re di questo paese"), sulla linea del carioca Zé Kéti, o "Arrogância" ("Vedere il peccato negli altri/ La virtù solo dalla tua parte / Il mondo solo per te/ (...)/ Chi ride degli altri in quel momento/ Piange anche"). E ancora un altro classico, "Circo" ("Tutti vanno al circo/ Tranne me, tranne me/ Come posso pagare un biglietto/ Se non ho niente/ Resto fuori ad ascoltare le risate").
Questa cronaca in versi, con il suo tono romantico e le sue radici urbane, fa parte dello stile poetico che annovera Dorival Caymmi tra i maestri nazionali; include, tra gli altri, J. Cascata, Marino Pinto, Ataulfo Alves e il baiano Humberto Porto. Il tema in gran parte satirico può essere fatto risalire all'opera del grande Geraldo Pereira ("Falsa Baiana", "Escurinho", "Pisei num Despacho"), seguito da Noel Rosa ("Conversa de Botequim", "Rapaz Folgado", "Gago apaixonado"), Lamartine Babo (Mulato Bamba) e Moreira da Silva ("Na Subida do Morro", "Jogando com o Capeta", "Dormi no Molhado"). Si tratta infatti di compositori ed esecutori che acquisirono e consolidarono il loro prestigio negli anni '30 o '40, periodo dell'adolescenza di Batatinha, prima o in concomitanza con i suoi primi tentativi come cantante.
Siccome ho iniziato citando il popolare cantante-compositore Riachão, concludo con le parole di un altro baiano, poeta in chiave maggiore, ma anche compositore e paroliere, José Carlos Capinan, che così si è espresso, definendo l'opera dell'artista Batatinha: "I suoi ritmi sono movimenti che ha imparato interagendo con le forme del samba di strada, del samba de roda, così come con quelle delle canzoni che sembrano nascere dalla percezione del battito più tranquillo dell'universo". Insomma, forse un dio, e se non lo fosse ancora, metaforicamente un "grande re" che brandisce lo scettro del samba nel regno della musica popolare.
Traduzione dal portoghese di A.R.R.
© SARAPEGBE.
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
TEXTO EM PORTUGUÊS (Testo in italiano)
Batatinha (1924-1997) no cetro do samba
por
Florisvaldo Mattos

Todo sambista é um ente de raízes, não importa o lugar em que esteja plantado. O espaço burocrático de uma ocupação profissional, a própria luz da rua, o lirismo faceiro da boemia, as relações de amizade e sua caudal de frases, versos, sons e molejos - tudo oferece a oportunidade para a ocultação ou a revelação do sambista.
Assim foi com Batatinha - Oscar da Penha, de registro civil e geral (1924-1997) -, apelido que recebeu na pia batismal da locução de Antônio Maria, por obra e graça da água benta de um programa radiofônico, nos idos da PRA-4, Rádio Sociedade da Bahia, década de 1940. Não podia anuncia-lo como Vassourinha, sambista carioca de sucesso que ele imitava.
Então, vá: “Senhoras e senhores, com vocês Oscar da Penha, o sambista Oscar da Penha, o Batatinha”, definiu com jeito esfuziante Antônio Maria, já que ele no samba era mesmo batata, no correr da gíria, porque com ele dá tudo na exata, como dizia um samba de Geraldo Pereira, sucesso na voz de Jackson do Pandeiro, um de seus paradigmas. E o nome fincou-se, descortinando a largada na carreira do cantor e principalmente compositor Batatinha.
José Carlos Capinan o definiu como inventor e mestre alinhando-o com dois outros monumentos do samba, Cartola e Nelson Cavaquinho. Mas houve quem o definisse somente pela força do lirismo de sua música e pela cátedra que a idade favorece. “Uma cabeça cheia de cabelos brancos e cada fio uma nota musical”, resumiu Riachão, irmão de samba e de cantoria, quando ele ia já pela casa dos cinquenta anos.
Eu conheci Batatinha, quando ele já estava comodamente instalado numa profissão, a de gráfico nas oficinas dos Diários Associados, ali, no antigo casarão da Rua Carlos Gomes, 157, onde funcionavam os jornais Diário de Notícias e Estado da Bahia e a Rádio Sociedade da Bahia.

Batatinha, nas oficinas do Diario Nacional
Pouco mais de trinta anos, cabelos precocemente grisalhos, era de ver a ginga daquele negro alto, empinado e lampeiro, dedos ágeis, trabalhando como tirador de linhas de chumbo vindas do linotipo, montando os chamados “paquês”, mirando o papel molhado da prova e arrumando-os na rama, para passagem da página montada ao “flan”, daí à fundição e finalmente à rotativa Goss, ainda brilhando de nova e dominando o galpão dos fundos, maravilha de impressão, na época, depois de uma atenta mirada do chefe, fosse ele o finado Duquinha ou seu substituto, Valdélio.
Jamais um malandro à antiga, não tinha lenço no pescoço, nem andava de chinelo charló. Eram charuto e fumaça que lhe emolduravam a fisionomia melancólica, no ambiente calorento das oficinas gráficas ou nas visitas ao mundo barulhento da Redação.
Sabia que cantava, mas o compositor de sambas só vim a conhecer depois, quando já falava em produzir disco, quando seus sambas já ecoavam no ar pela voz de Jamelão, Maria Bethânia, Nora Ney, de Tião Motorista, ou mesmo dele próprio, Batatinha, que começara imitando o Vassourinha de Minha Palhoça, samba de Wilson Batista.
Foi uma revelação e um deslumbramento. Entre magias, hoje vislumbro as origens e as filiações do sambista e do inventor. Ele se insere no segmento de um processo que, iniciado 50 anos antes daria envergadura e autonomia à música popular brasileira, que já começava a ser história.

Batatinha e Dorival Caymmi. S.d.
E a Bahia tinha muito (só tinha) a ver com ela, sua natureza e evolução, desde os tempos do Brasil-Colônia, quando o gênio aristofanesco de Gregório de Mattos (século XVII) percorria as ruas da Cidade da Bahia, com uma viola de cinco cordas por ele mesmo fabricada a tiracolo, cantando modinhas e conquistando mulatas.
Mas o parentesco musical de Batatinha – e, logicamente, de outros compositores baianos (Josué de Barros, Dorival Caymmi, Assis Valente, Humberto Porto, Bob Silva) – parece começar com Xisto Bahia (1841-1894), um negro violonista, rei do lundu, misto de compositor e ator de teatro, que, enfrentando preconceitos, conquistou por obra da música admiradores entre a elite e as camadas médias da sociedade, onde ecoava a voz desse que ficaria história como o mais popular cantor romântico e o responsável pelo desenvolvimento da modinha entre nós, lançando a semente do que seria depois a forma musical do samba, embebida nas raízes da cultura africana.
Nessa caminhada de primórdios não se podem esquecer os acontecimentos dos anos 1990, na Bahia, que carrearam para o Rio de Janeiro, a capital federal, parcela significativa das formas musicais praticadas na velha Cidade do Salvador e em núcleos urbanos e rurais de seu Recôncavo, posto que é neste momento que se dá um fato fundamental: a transferência maciça de contingentes de indivíduos, provocada pelo exemplo e repercussão negativa do final trágico da Guerra de Canudos, na execução de um plano que conjugava esforços federais e estaduais para alocação de força-trabalho em obras que absorvessem levas de vencidos, no intuito de evitar a erupção de novos focos de rebelião nos sertões e oferecessem um horizonte animador e confiável aos que nada possuíam.
Essas levas de baianos desembarcariam no Rio de Janeiro para trabalhar na construção do porto, dando curso às grandes obras que iriam modificar a fisionomia urbanística da Capital da República, sob a batuta de Pereira Passos e Paulo de Frontim. Impelidos por tal contingência, grupos de negros baianos se instalaram nas proximidades das obras; uma dessa localidades iria justamente chamar-se Morro da Favela, nome de uma elevação e um dos bastiões do reduto de Antônio Conselheiro.
Fundava-se assim a primeira favela do Rio de Janeiro e para lá se mudavam os signos de uma das mais prestigiosas instituições de festa e misticismo – os terreiros, um deles, o mais famoso, o da baiana Tia Ciata, centro de batuque, que privilegiava a música de negros, misturando ponto de candomblé, roda-de-capoeira, samba-de-roda, folclore do mar e dos canaviais, berço do samba pela mão, voz e ginga de descendentes, como Donga, João da Baiana, Caninha, Getúlio Marinho (Amor), dentre outros muitos negros, baianos ou filhos de baianos, cuja inspiração e lirismo influenciaram as futuras gerações de sambistas, compositores e intérpretes.

CD de Batatinha, lançado em 1998
Produzido pelos artistas J. Velloso e Paquito
Os sambistas baianos, como Batatinha e outros, filiam-se legitimamente a este processo, embora pareça ter havido um hiato eu iria marcar na Bahia as primeiras décadas do século XX, mas a música subsistia – e com ela o samba -, primeiramente favorecida por mudanças na estrutura urbana da Cidade do Salvador, resultante da reforma de 1912, começada e executada por Seabra, e, depois, pelo aparecimento da Rádio Sociedade da Bahia, em 1927, uma das primeiras emissoras do Brasil.
A música desses sambistas emergia de uma conjugação de fatores, que misturava terreiros, festas de largo, rodas de boemia, bailes, cine-teatros e programas de auditório, em teatros e emissoras de rádio, sendo entre estes últimos o mais comentado a “Parada de Calouros”, criado, dirigido e liderado pelo pernambucano Antônio Maria, desde os anos da Segunda Guerra Mundial até quase o fim dos anos 1940 (quando ele se mudou para o Rio), e em seguida os frutíferos concursos musicais, pondo em destaque os inovadores “Campeonatos de Carnaval”.
Deste fecundo âmago brotou a safra de compositores que revelaria ao público, além de Batatinha, nomes como Armando Sá, Miguel Britto, Renato Mendonça, Jairo Simões, Tião Motorista, entre outros, quase todos sambistas, e, inspirada neles ou incentivada por eles, uma nova onda de criadores, na qual se incluem Riachão Edil Pacheco, Ederaldo Gentil, Gereba, Gerônimo, Vevé Calasans e uma parcela da moçada dos trios elétricos.
A obra de Batatinha faz parte desse reluzente balaio de grandezas, que incorporou, manteve e revigorou o bom da tradição. O lastro é romântico e urbano, como a maior parte da música brasileira, que se produziu até meados da década de 1960, quando a avalanche do tropicalismo imprimiria novos rumos, numa clave de inspiração e criatividade, portadora de uma carga de sentimentos, a se projetar como desdobramento de longínquas práticas poéticas, que encontrou guarida na criatividade dos poetas populares – e, principalmente, de inúmeros músicos e cantores de subúrbio do Rio de Janeiro e outros centros, que se encarregaram de dar prosseguimento (Catulo da Paixão Cearense, Erastóstenes Campos, João Pernambuco, Olegário Mariano, Índio das Neves, Donga, Pixinguinha, Uriel Lourival, Freire Júnior, Vicente Celestino e tantos outros, todos forjados nas década de 1910 e 1920).
Eles de uma certa forma sedimentaram um estilo, consolidaram, criaram formas e estabeleceram padrões. À face sentimental se colaria o tom brejeiro, por vezes chorão, mas um cândido revestimento satírico, imerso em fraseado de fio levemente depreciativo, levado a ginga, impulso rítmico e linguagem acessível, faria da canção e do samba – e também da marchinha carnavalesca – um meio de falar diretamente à cidadania, dialogar com as atribulações do cotidiano, tornando-se a um só tempo celebração da alegria de viver e denúncia de contradições sociais, pontuadas de dor e melancolia.
Ambas as facetas, a romântica e a satírica, convivem na música de Batatinha. A primeira, em menor profusão, desde o samba “Marta”, cantado em primeira difusão para um auditório de rádio pelo conjunto Ases do Ritmo, composto por Tião Motorista, Sandoval Caldas, Virgílio Sá e Geraldo Nascimento, que já dizia: “Marta, vem ver a lua/ Vem ver como está sempre triste/ Lamentando a dor profunda/ Que no meu peito existe”, para culminar com uma de suas obras-primas, o samba “Diplomacia” – “Luto por um pouco de conforto/ Tenho o corpo quase morto/ Não acerto nem pensar/ Mesmo com tanta agonia/ Ainda posso cantar”. E nos versos de outra obra-prima – “Se eu deixar de sofrer/ Como é que vai ser/ Para me acostumar/ (...)/ Sofrer também é merecimento”... Nessa linha, seguem outras composições, como “Direito de Sambar”, “Espera”, “Hora da Razão”.
A sátira, envolta em manto melancólico e conformista, é vertiginosa, desde o “Calma, Hélio” (“Calma, Hélio/ Não vá em todas/ Que você pode acabar mal/ O seu abono/ Vai sair depois do Carnaval”); ou no clássico gravado por Jamelão, “Jajá da Gamboa”, em que o protagonista da história, “Precisando um certo dia/De grana pra apostar/ No Selecionado/ Não tendo mais o que arrancar da criatura/ Então lhe pediu a dentadura/ Dizendo que o prego ia lhe safar/ Foi desta vez que a coroa não pode concordar/ Com o Jajá”.
Disfarçada ou explícita, a sátira deste poeta popular ganha foros de crônica. São desse teor “Grande Rei” (“Sorrindo neste mundo sou feliz/ Não tenho inimigo/ Ninguém fala mal de mim/ Eu sou o samba/ Grande rei deste país”), na linha do carioca Zé Kéti, ou “Arrogância” (Vendo nos outros o pecado/ Virtude só do seu lado / O mundo só pra você/ (...)/ Quem ri dos outros na hora/ Também chora”). E ainda outro clássico, “Circo”, (Todo mundo vai ao circo/ Menos eu, menos eu/ Como pagar ingresso/ Se eu não tenho nada/ Fico de fora escutando a gargalhada”).
A crônica versificada de timbre romântico e lastro urbano inscreve-se na poética que tem em Dorival Caymmi um dos mestres nacionais; passa por J. Cascata, Marino Pinto, Ataulfo Alves, o baiano Humberto Porto, dentre outros. A de fundo satírico em grande parte pode ter seu paradigma na obra do grande Geraldo Pereira (“Falsa Baiana”, “Escurinho”, “Pisei num Despacho”), vindo atrás Noel Rosa (“Conversa de Botequim”, “Rapaz Folgado”, “Gago apaixonado”), Lamartine Babo (Mulato Bamba”, ), Moreira da Silva (“Na Subida do Morro”, “Jogando com o Capeta”, “Dormi no Molhado”). Na verdade, compositores-intérpretes que ganharam e consolidaram seu prestígio nas décadas de 1930 ou na de 1940, época da adolescência de Batatinha, antevéspera ou concomitância de suas primeiras tentativas como cantor.
Como iniciei citando um cantor-compositor popular, Riachão, encerro com as palavras de outro baiano, poeta em clave maior, mas também compositor e letrista, José Carlos Capinan, que assim se expressou, definindo a obra do artista Batatinha: “Seus ritmos são movimentos que aprendeu no convívio com as formas do samba de rua, samba de roda, além daqueles das canções que parecem nascer de percepção da pulsação mais tranquila do universo”. Enfim, talvez um deus, senão ainda, metaforicamente, um “grande rei”, empunhando o cetro do samba, no reino da música popular.
© SARAPEGBE.
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
Florisvaldo Mattos

Todo sambista é um ente de raízes, não importa o lugar em que esteja plantado. O espaço burocrático de uma ocupação profissional, a própria luz da rua, o lirismo faceiro da boemia, as relações de amizade e sua caudal de frases, versos, sons e molejos - tudo oferece a oportunidade para a ocultação ou a revelação do sambista.
Assim foi com Batatinha - Oscar da Penha, de registro civil e geral (1924-1997) -, apelido que recebeu na pia batismal da locução de Antônio Maria, por obra e graça da água benta de um programa radiofônico, nos idos da PRA-4, Rádio Sociedade da Bahia, década de 1940. Não podia anuncia-lo como Vassourinha, sambista carioca de sucesso que ele imitava.
Então, vá: “Senhoras e senhores, com vocês Oscar da Penha, o sambista Oscar da Penha, o Batatinha”, definiu com jeito esfuziante Antônio Maria, já que ele no samba era mesmo batata, no correr da gíria, porque com ele dá tudo na exata, como dizia um samba de Geraldo Pereira, sucesso na voz de Jackson do Pandeiro, um de seus paradigmas. E o nome fincou-se, descortinando a largada na carreira do cantor e principalmente compositor Batatinha.
José Carlos Capinan o definiu como inventor e mestre alinhando-o com dois outros monumentos do samba, Cartola e Nelson Cavaquinho. Mas houve quem o definisse somente pela força do lirismo de sua música e pela cátedra que a idade favorece. “Uma cabeça cheia de cabelos brancos e cada fio uma nota musical”, resumiu Riachão, irmão de samba e de cantoria, quando ele ia já pela casa dos cinquenta anos.
Eu conheci Batatinha, quando ele já estava comodamente instalado numa profissão, a de gráfico nas oficinas dos Diários Associados, ali, no antigo casarão da Rua Carlos Gomes, 157, onde funcionavam os jornais Diário de Notícias e Estado da Bahia e a Rádio Sociedade da Bahia.

Batatinha, nas oficinas do Diario Nacional
Pouco mais de trinta anos, cabelos precocemente grisalhos, era de ver a ginga daquele negro alto, empinado e lampeiro, dedos ágeis, trabalhando como tirador de linhas de chumbo vindas do linotipo, montando os chamados “paquês”, mirando o papel molhado da prova e arrumando-os na rama, para passagem da página montada ao “flan”, daí à fundição e finalmente à rotativa Goss, ainda brilhando de nova e dominando o galpão dos fundos, maravilha de impressão, na época, depois de uma atenta mirada do chefe, fosse ele o finado Duquinha ou seu substituto, Valdélio.
Jamais um malandro à antiga, não tinha lenço no pescoço, nem andava de chinelo charló. Eram charuto e fumaça que lhe emolduravam a fisionomia melancólica, no ambiente calorento das oficinas gráficas ou nas visitas ao mundo barulhento da Redação.
Sabia que cantava, mas o compositor de sambas só vim a conhecer depois, quando já falava em produzir disco, quando seus sambas já ecoavam no ar pela voz de Jamelão, Maria Bethânia, Nora Ney, de Tião Motorista, ou mesmo dele próprio, Batatinha, que começara imitando o Vassourinha de Minha Palhoça, samba de Wilson Batista.
Foi uma revelação e um deslumbramento. Entre magias, hoje vislumbro as origens e as filiações do sambista e do inventor. Ele se insere no segmento de um processo que, iniciado 50 anos antes daria envergadura e autonomia à música popular brasileira, que já começava a ser história.

Batatinha e Dorival Caymmi. S.d.
E a Bahia tinha muito (só tinha) a ver com ela, sua natureza e evolução, desde os tempos do Brasil-Colônia, quando o gênio aristofanesco de Gregório de Mattos (século XVII) percorria as ruas da Cidade da Bahia, com uma viola de cinco cordas por ele mesmo fabricada a tiracolo, cantando modinhas e conquistando mulatas.
Mas o parentesco musical de Batatinha – e, logicamente, de outros compositores baianos (Josué de Barros, Dorival Caymmi, Assis Valente, Humberto Porto, Bob Silva) – parece começar com Xisto Bahia (1841-1894), um negro violonista, rei do lundu, misto de compositor e ator de teatro, que, enfrentando preconceitos, conquistou por obra da música admiradores entre a elite e as camadas médias da sociedade, onde ecoava a voz desse que ficaria história como o mais popular cantor romântico e o responsável pelo desenvolvimento da modinha entre nós, lançando a semente do que seria depois a forma musical do samba, embebida nas raízes da cultura africana.
Nessa caminhada de primórdios não se podem esquecer os acontecimentos dos anos 1990, na Bahia, que carrearam para o Rio de Janeiro, a capital federal, parcela significativa das formas musicais praticadas na velha Cidade do Salvador e em núcleos urbanos e rurais de seu Recôncavo, posto que é neste momento que se dá um fato fundamental: a transferência maciça de contingentes de indivíduos, provocada pelo exemplo e repercussão negativa do final trágico da Guerra de Canudos, na execução de um plano que conjugava esforços federais e estaduais para alocação de força-trabalho em obras que absorvessem levas de vencidos, no intuito de evitar a erupção de novos focos de rebelião nos sertões e oferecessem um horizonte animador e confiável aos que nada possuíam.
Essas levas de baianos desembarcariam no Rio de Janeiro para trabalhar na construção do porto, dando curso às grandes obras que iriam modificar a fisionomia urbanística da Capital da República, sob a batuta de Pereira Passos e Paulo de Frontim. Impelidos por tal contingência, grupos de negros baianos se instalaram nas proximidades das obras; uma dessa localidades iria justamente chamar-se Morro da Favela, nome de uma elevação e um dos bastiões do reduto de Antônio Conselheiro.
Fundava-se assim a primeira favela do Rio de Janeiro e para lá se mudavam os signos de uma das mais prestigiosas instituições de festa e misticismo – os terreiros, um deles, o mais famoso, o da baiana Tia Ciata, centro de batuque, que privilegiava a música de negros, misturando ponto de candomblé, roda-de-capoeira, samba-de-roda, folclore do mar e dos canaviais, berço do samba pela mão, voz e ginga de descendentes, como Donga, João da Baiana, Caninha, Getúlio Marinho (Amor), dentre outros muitos negros, baianos ou filhos de baianos, cuja inspiração e lirismo influenciaram as futuras gerações de sambistas, compositores e intérpretes.

CD de Batatinha, lançado em 1998
Produzido pelos artistas J. Velloso e Paquito
Os sambistas baianos, como Batatinha e outros, filiam-se legitimamente a este processo, embora pareça ter havido um hiato eu iria marcar na Bahia as primeiras décadas do século XX, mas a música subsistia – e com ela o samba -, primeiramente favorecida por mudanças na estrutura urbana da Cidade do Salvador, resultante da reforma de 1912, começada e executada por Seabra, e, depois, pelo aparecimento da Rádio Sociedade da Bahia, em 1927, uma das primeiras emissoras do Brasil.
A música desses sambistas emergia de uma conjugação de fatores, que misturava terreiros, festas de largo, rodas de boemia, bailes, cine-teatros e programas de auditório, em teatros e emissoras de rádio, sendo entre estes últimos o mais comentado a “Parada de Calouros”, criado, dirigido e liderado pelo pernambucano Antônio Maria, desde os anos da Segunda Guerra Mundial até quase o fim dos anos 1940 (quando ele se mudou para o Rio), e em seguida os frutíferos concursos musicais, pondo em destaque os inovadores “Campeonatos de Carnaval”.
Deste fecundo âmago brotou a safra de compositores que revelaria ao público, além de Batatinha, nomes como Armando Sá, Miguel Britto, Renato Mendonça, Jairo Simões, Tião Motorista, entre outros, quase todos sambistas, e, inspirada neles ou incentivada por eles, uma nova onda de criadores, na qual se incluem Riachão Edil Pacheco, Ederaldo Gentil, Gereba, Gerônimo, Vevé Calasans e uma parcela da moçada dos trios elétricos.
A obra de Batatinha faz parte desse reluzente balaio de grandezas, que incorporou, manteve e revigorou o bom da tradição. O lastro é romântico e urbano, como a maior parte da música brasileira, que se produziu até meados da década de 1960, quando a avalanche do tropicalismo imprimiria novos rumos, numa clave de inspiração e criatividade, portadora de uma carga de sentimentos, a se projetar como desdobramento de longínquas práticas poéticas, que encontrou guarida na criatividade dos poetas populares – e, principalmente, de inúmeros músicos e cantores de subúrbio do Rio de Janeiro e outros centros, que se encarregaram de dar prosseguimento (Catulo da Paixão Cearense, Erastóstenes Campos, João Pernambuco, Olegário Mariano, Índio das Neves, Donga, Pixinguinha, Uriel Lourival, Freire Júnior, Vicente Celestino e tantos outros, todos forjados nas década de 1910 e 1920).
Eles de uma certa forma sedimentaram um estilo, consolidaram, criaram formas e estabeleceram padrões. À face sentimental se colaria o tom brejeiro, por vezes chorão, mas um cândido revestimento satírico, imerso em fraseado de fio levemente depreciativo, levado a ginga, impulso rítmico e linguagem acessível, faria da canção e do samba – e também da marchinha carnavalesca – um meio de falar diretamente à cidadania, dialogar com as atribulações do cotidiano, tornando-se a um só tempo celebração da alegria de viver e denúncia de contradições sociais, pontuadas de dor e melancolia.
Ambas as facetas, a romântica e a satírica, convivem na música de Batatinha. A primeira, em menor profusão, desde o samba “Marta”, cantado em primeira difusão para um auditório de rádio pelo conjunto Ases do Ritmo, composto por Tião Motorista, Sandoval Caldas, Virgílio Sá e Geraldo Nascimento, que já dizia: “Marta, vem ver a lua/ Vem ver como está sempre triste/ Lamentando a dor profunda/ Que no meu peito existe”, para culminar com uma de suas obras-primas, o samba “Diplomacia” – “Luto por um pouco de conforto/ Tenho o corpo quase morto/ Não acerto nem pensar/ Mesmo com tanta agonia/ Ainda posso cantar”. E nos versos de outra obra-prima – “Se eu deixar de sofrer/ Como é que vai ser/ Para me acostumar/ (...)/ Sofrer também é merecimento”... Nessa linha, seguem outras composições, como “Direito de Sambar”, “Espera”, “Hora da Razão”.
A sátira, envolta em manto melancólico e conformista, é vertiginosa, desde o “Calma, Hélio” (“Calma, Hélio/ Não vá em todas/ Que você pode acabar mal/ O seu abono/ Vai sair depois do Carnaval”); ou no clássico gravado por Jamelão, “Jajá da Gamboa”, em que o protagonista da história, “Precisando um certo dia/De grana pra apostar/ No Selecionado/ Não tendo mais o que arrancar da criatura/ Então lhe pediu a dentadura/ Dizendo que o prego ia lhe safar/ Foi desta vez que a coroa não pode concordar/ Com o Jajá”.
Disfarçada ou explícita, a sátira deste poeta popular ganha foros de crônica. São desse teor “Grande Rei” (“Sorrindo neste mundo sou feliz/ Não tenho inimigo/ Ninguém fala mal de mim/ Eu sou o samba/ Grande rei deste país”), na linha do carioca Zé Kéti, ou “Arrogância” (Vendo nos outros o pecado/ Virtude só do seu lado / O mundo só pra você/ (...)/ Quem ri dos outros na hora/ Também chora”). E ainda outro clássico, “Circo”, (Todo mundo vai ao circo/ Menos eu, menos eu/ Como pagar ingresso/ Se eu não tenho nada/ Fico de fora escutando a gargalhada”).
A crônica versificada de timbre romântico e lastro urbano inscreve-se na poética que tem em Dorival Caymmi um dos mestres nacionais; passa por J. Cascata, Marino Pinto, Ataulfo Alves, o baiano Humberto Porto, dentre outros. A de fundo satírico em grande parte pode ter seu paradigma na obra do grande Geraldo Pereira (“Falsa Baiana”, “Escurinho”, “Pisei num Despacho”), vindo atrás Noel Rosa (“Conversa de Botequim”, “Rapaz Folgado”, “Gago apaixonado”), Lamartine Babo (Mulato Bamba”, ), Moreira da Silva (“Na Subida do Morro”, “Jogando com o Capeta”, “Dormi no Molhado”). Na verdade, compositores-intérpretes que ganharam e consolidaram seu prestígio nas décadas de 1930 ou na de 1940, época da adolescência de Batatinha, antevéspera ou concomitância de suas primeiras tentativas como cantor.
Como iniciei citando um cantor-compositor popular, Riachão, encerro com as palavras de outro baiano, poeta em clave maior, mas também compositor e letrista, José Carlos Capinan, que assim se expressou, definindo a obra do artista Batatinha: “Seus ritmos são movimentos que aprendeu no convívio com as formas do samba de rua, samba de roda, além daqueles das canções que parecem nascer de percepção da pulsação mais tranquila do universo”. Enfim, talvez um deus, senão ainda, metaforicamente, um “grande rei”, empunhando o cetro do samba, no reino da música popular.
© SARAPEGBE.
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
Nenhum comentário:
Postar um comentário